Articolo a cura di Beatrice Fiorelli e Vittoria Gigliotti
Revisione a cura di Melissa Minetti
L'accesso all'istruzione come motore dell'emancipazione femminile in Italia
L'accesso all'istruzione è stato uno dei pilastri dell'emancipazione femminile in Italia. Dagli anni ’50 ad oggi, il diritto allo studio delle donne ha subito profonde trasformazioni, evidenziando un percorso di conquiste che ha modificato radicalmente il loro ruolo nella società italiana.
La Costituzione italiana del 1948 sancisce all’articolo 3 e 34 che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e diritto all’istruzione. Tuttavia, gli anni ’50 e ’60 mostrano ancora una società fortemente patriarcale. L'istruzione elementare femminile, benché formalmente garantita grazie alla Riforma Gentile del 1923, era spesso considerata secondaria rispetto alla preparazione per il ruolo domestico. Le famiglie, specialmente nelle aree rurali e nel Meridione, ritenevano sufficienti le scuole elementari o, al massimo, le scuole medie. La laurea restava una prerogativa quasi esclusivamente maschile: solo le figlie di famiglie facoltose potevano ambire agli studi universitari.
Il tasso di analfabetismo femminile era ancora elevato, con un netto divario rispetto agli uomini. Nel 1951, il 15,2% delle donne italiane era analfabeta, contro il 10,5% degli uomini.
La riforma della scuola media del 1962 portò a un passo in avanti, rendendo obbligatoria l’istruzione fino ai quattordici anni e unificando il sistema educativo grazie all’eliminazione delle scuole differenziali.
Le trasformazioni degli anni ’70
Negli anni ’70, l'accesso all'istruzione per le donne in Italia subì una trasformazione significativa, frutto di una convergenza tra cambiamenti legislativi e fermento culturale. La nascita di movimenti femministi e un contesto sociale più aperto iniziano a far percepire il diritto allo studio quale strumento determinante l’uguaglianza di genere.
In questo contesto, molte donne sfidarono gli stereotipi e le barriere culturali, scegliendo di continuare gli studi presso le scuole superiori e le università. Le facoltà di medicina, giurisprudenza e ingegneria, tradizionalmente considerate ambiti maschili, iniziarono ad accogliere un numero crescente di studentesse.
Questa evoluzione fu accompagnata da una crescente consapevolezza del valore dell’istruzione come mezzo per accedere a ruoli di maggiore responsabilità e indipendenza economica, rompendo con l’idea che la formazione femminile dovesse limitarsi alla preparazione per la vita domestica.
Negli anni ’80 e ’90 il sistema educativo ha visto una fortissima espansione: le donne iniziano a superare gli uomini non solo per numero di iscrizioni ma anche per risultati accademici. I dati statistici ISTAT confermano che negli anni ’90 le donne rappresentavano oltre il 50% degli studenti universitari, tendenza consolidatasi nei decenni successivi.
I progressi citati vengono controbilanciati da una differenza di genere in termini di scelta dei percorsi accademici; da un lato le donne tendevano verso le discipline umanistiche, pedagogiche e sanitarie, dall’altro gli uomini dominavano nei settori tecnico-scientifici: parliamo in tal senso di “segregazione formativa”.
Le sfide del XXI secolo
Nel XXI secolo, il diritto allo studio per le donne si è ulteriormente ampliato. Oggi possiamo dire che le ragazze italiane hanno un accesso all’istruzione parificato ai ragazzi. I dati più recenti statuiscono che il 60% dei laureati in Italia sono donne.
Nonostante i significativi progressi citati, permangono sfide significative. In primo luogo, superare la disparità di genere nei percorsi STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è fondamentale per costruire una società più equa: consentire a più donne di accedere a questi settori non solo migliorerebbe le loro opportunità personali ma rafforzerebbe anche la competitività del mercato globale, garantendo una maggiore diversità e inclusione nei processi decisionali. Altro tema di interesse è la conciliazione fra studio, carriera e famiglia: le donne affrontano ancora discriminazioni legate a stereotipi che rendono problematica la trasformazione del successo accademico in pari opportunità professionali.
L'amica Geniale
La celebre saga de L’Amica Geniale di Elena Ferrante è un esempio letterario che illustra il periodo storico descritto finora (anni Cinquanta in poi), e tra i temi chiave vi è quello del diritto allo studio, esplorato dall’autrice attraverso le vicende della vita delle due protagoniste, Lila e Lenù. Nei quattro volumi osserviamo infatti come questo vero e proprio “privilegio” abbia influenzato le scelte, le possibilità e l’intero percorso di vita delle due protagoniste. Ambientato in uno dei rioni più poveri e umili di Napoli, l’opera letteraria, attraverso una lunga serie di dinamiche (l’intera vita di Lila e Lenù) esamina gli ostacoli e le problematicità legate alla figura femminile, in una realtà socio-culturale difficile, patriarcale e oppressiva, che imponeva rigide barriere di genere (come a Napoli, anche in altri contesti della penisola italiana).
La possibilità di intraprendere e proseguire un percorso di studi, nei libri, come nella vita reale, è simbolo di emancipazione femminile, libertà e indipendenza, che però non sempre riesce ad essere raggiunta. Le vite di Lila e Lenù si separano (per poi ricongiungersi sempre) proprio per questo: Lenù riesce a continuare il suo percorso di studi dopo le elementari, e a completarlo alla Normale di Pisa, sia per la sua determinazione, sia per il supporto, anche se (molto) altalenante, della famiglia e soprattutto della sua amica, Lila (“…devi studiare sempre". Feci un risolino nervoso, poi dissi "Grazie, ma a un certo punto le scuole finiscono". "Non per te: tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine”) che al contrario, nonostante l’intelligenza che la contraddistingue da ogni altro personaggio dell’opera, è costretta a rinunciare agli studi terminato il primo ciclo di istruzione. Lila rimanere ancorata a quell’ambiente, dovrà affrontare violenze e un matrimonio convenzionale, cercando sempre di rientrare nei canoni imposti dalla società patriarcale (dell’essere una buona madre, moglie e donna obbediente) contrati al suo animo ribelle.
La descrizione di queste dinamiche storiche e culturali che impattano sulla vita delle due protagoniste incarna un problema sociale non solo dell’Italia degli anni Cinquanta/Sessanta, ma universale: l’aspirazione di ogni singola donna di slegarsi da realtà soffocanti e prepotenti, autodeterminandosi e realizzandosi con le proprie forze e facoltà, attraverso lo studio e la cultura, visti non solo strumento di affermazione ed emancipazione, ma anche di evasione. Lenù stessa nel secondo volume afferma “Evocai versi e romanzi come tranquillanti. Forse, pensai, aver studiato mi serve solo a questo: a calmarmi”.
Iran post-rivoluzionario e il diritto all’istruzione: il caso di Azar Nafisi
Come per Lenù, anche nel resto del mondo per le donne lo studio e la letteratura sono uno strumento di evasione dalla realtà in cui si è spesso costretti a vivere, un mezzo di affermazione e indipendenza, che si scontra con regimi e società patriarcali e tradizionaliste.
In Oriente, un altro esempio letterario che esplora il tema dell’emancipazione femminile legato al diritto allo studio e alla libertà di espressione è “Leggere Lolita a Teheran”, di Azar Nafisi.
La scrittrice descrive la vita di tutti i giorni nell’Iran (in particolare Teheran) post-rivoluzionaria, analizzando questioni di oppressione e identità, in una società dove la libertà personale, soprattutto delle donne, è limitata da norme conservatrici, sia politiche che religiose. Il velo obbligatorio diventa un simbolo di controllo, e le leggi riducono i diritti delle donne.
Innanzitutto, è bene fare un breve quadro storico dell’Iran.
Prima del 1979, il paese era una monarchia guidata dallo shah Mohammad Reza Pahlavi, sostenuto da paesi come Stati Uniti e Regno Unito per motivi economici, anche se nei suoi confronti il giudizio storico fu sempre dubbio. Lo shah è ricordato soprattutto per la cosiddetta “Riforma bianca” (o “Rivoluzione bianca”), un programma molto ampio di riforme che guardava a una modernizzazione del paese. Questa spinta prese presto il nome di “occidentalizzazione”, dei costumi e degli stili di vita, includendo anche norme a favore dell’emancipazione femminile (prima del 1979 le donne non avevano l’obbligo di portare il velo). Seguendo questa scia, l'istruzione iraniana ricalcava i modelli occidentali, progressivamente aumentando la partecipazione femminile, seppur con un accesso limitato: alla fine degli anni Settanta le donne rappresentavano il 24% degli studenti universitari.
Il potere dello shah venne però esercitato con metodi sempre più dittatoriali, e ogni forma di dissidenza politica venne crudelmente repressa.
Alla fine degli anni 70 iniziarono le prime proteste, che si trasformarono presto in una vera e propria rivoluzione. Uno dei giorni più bui della rivoluzione fu quello che passò alla storia come il venerdì nero.
Il clero sciita si fece trovare pronto, proponendo al popolo leader carichi e carismatici. Tra questi si distinse Ruhollah Khomeyni, ottimo comunicatore, che era riuscito ad attirare a sé tantissimo consenso persino dall’esilio in Francia.
Nel 1979 con il ritorno di Khomeyni e la fuga dello shah, la monarchia fu abbattuta. Si tennero due referendum e fu istituito il corpo delle Guardie della rivoluzione (“esercito” fedele al clero sciita). Con il primo referendum gli iraniani decisero di abbandonare il sistema precedente, divenendo una Repubblica Islamica. Il secondo referendum riguardava l’approvazione della nuova Costituzione basata sul velayat-e-faqih, sistema che ancora oggi regola l’assetto istituzionale dell’Iran e che crea una sorta di dualismo tra democrazia e autoritarismo: da un lato organi formati da religiosi con a capo l’Ayatollah (allora Khomeyni), dall’altro istituzioni democratiche ed elettive.
Oggi questo dualismo è rappresentato dalla rivalità tra il presidente Hassan Rouhani, con idee moderate e favorevole a un’apertura e un dialogo verso i paesi occidentali, e l’Ayatollah Ali Khamenei, figura religiosa e ultraconservatrice.
La repubblica iraniana fu chiamata islamica perché basata sulla Sharia, la legge islamica che prevede un preciso codice morale. Dal 1979, infatti, le donne iraniane furono soggette a forti restrizioni dei propri diritti e libertà individuali: l’obbligo di indossare il velo per uscire di casa, il divieto di divorzio, l’abrogazione della legge sull’aborto, l’abbassamento dell’età minima per il matrimonio a 9 anni, l’introduzione della pena di morte per adulterio, l’annullamento dei tornei sportivi femminili, il divieto alle donne di frequentare la facoltà di giurisprudenza e la privazione dell’incarico di giudice per le donne.
La rivoluzione trasformò radicalmente anche il sistema educativo, islamizzandolo e imponendo valori conservatori, come la segregazione di genere.
È proprio tra gli anni Ottanta e Novanta che inizia il racconto e la testimonianza della professoressa Azar Nafisi. In questo contesto opprimente, l’insegnante universitaria organizza seminari clandestini a casa sua, dove sette studentesse, ogni giovedì mattina, esplorano la letteratura occidentale come rifugio dalla realtà e mezzo di resistenza.
Attraverso la lettura di libri come Lolita, Il Grande Gatsby, Invito a una decapitazione, Orgoglio e Pregiudizio, le donne discutono della relazione tra la loro realtà e quella descritta dai libri, trovando delle similitudini e dei parallelismi con la loro condizione; l’esempio più celebre e centrale è quello del personaggio di Lolita che, come le ragazze di Nafisi, è alla ricerca continua (e disperata) di piccoli spazi di libertà e brevi momenti di serenità, in un mondo che imprigiona lei come tante altre donne. “Le pressioni più dure le subivano le studentesse. Ascoltavo la storia infinita delle loro disgrazie, e non sapevo che dire. Le punivano se salivano le scale di corsa per arrivare in tempo a lezione, se ridevano nei corridoi, se venivano sorprese a parlare con un ragazzo”.
La letteratura diventa un modo per interrogarsi sui dogmi sociali e immaginare un futuro diverso, caratterizzato da maggiori libertà e diritti che molte donne, come le sette studentesse, non avevano mai conosciuto (Nafisi si, prima della rivoluzione).
Oltre alla grave situazione sociopolitica interna al Paese, presto anche le dinamiche estere divennero fonte di preoccupazioni e maggiori restrizioni. Per milioni di cittadini iraniani la guerra tra l’Iran e l’Iraq piombò dal nulla e durò otto lunghi anni (1980-1988). In quegli anni maturarono le riflessioni e i pensieri dell’autrice e delle sue ragazze sull’ideale di donna musulmana imposto dal regime post-rivoluzionario e su come vincoli e intimazioni così violente avessero portato a un grande smarrimento, a un vero e proprio stato confusionale, anche da parte di coloro che inizialmente credevano concretamente nella rivoluzione e avevano una fede forte (tra cui una delle studentesse della professoressa Nafisi: “il velo testimoniava la sua fede. Portarlo era una sua decisione, un atto volontario. Quando la rivoluzione lo impose a tutte, il suo gesto perse qualunque significato”).
Le sette ragazze, compresa Nafisi, pur provenendo da diversi contesti sociali e ideologici, condividono lo stesso disagio per la perdita della loro libertà e individualità. La religione, trasformata in strumento di potere, viene imposta come legge universale, che influenza ogni aspetto della vita delle donne, dalle materie studiate in università, ai testi proibiti, all’imposizione del velo, che diventa simbolo della repressione del corpo e della mente: chi non indossa il velo non è ammesso in facoltà, sia come studentessa, che come professoressa. La stessa autrice nel libro racconta di essere incorsa in non pochi rischi ribellandosi silenziosamente e non indossando il velo.
L’autrice sottolinea inoltre il paradosso della situazione iraniana in cui mentre, da un lato, il regime post-rivoluzionario cerca di sopprimere ogni forma di pensiero indipendente, dall’altro, la sua violenta repressione ha rafforzato la determinazione delle donne a difendere la propria libertà.
“Il romanzo non è una critica alla Repubblica islamica, ma una denuncia dell’essenza stessa di ogni totalitarismo… Quando penso a Lolita, la associo a quella farfalla mezza morta infilzata al muro. In tal senso la farfalla è un simbolo, pur se non del tutto ovvio: Humbert inchioda Lolita allo stesso modo; vuole che lei, un essere umano che vive e respira, diventi qualcosa di statico, immobile, rinunci alla sua vita in cambio dell’esistenza sempre uguale che le offre lui. Nella mente dei lettori l’immagine di Lolita resta costantemente legata a quella del suo carceriere. La ragazza da sola non ha alcun significato; se appare viva, è soltanto dietro le sbarre della sua prigione”.
Ad oggi la situazione in Iran è in costante evoluzione. L'istruzione superiore femminile riflette un equilibrio complesso tra spinte tradizionali interne e influenze globali, con esiti spesso ambigui. Ricordiamo le proteste nel 2022 a seguito della morte di Mahsa Amini; o l’avvelenamento di migliaia di studentesse nello stesso anno. Più recente è la protesta della ragazza iraniana in intimo nel cortile dell’Università .
Conclusione
Il diritto all’istruzione ha dunque svolto un ruolo determinante nell’emancipazione femminile, trasformandosi da privilegio per poche a diritto universale e riconosciuto. L’Italia, dopo decenni di riforme e lotte culturali, ha visto le donne passare da una condizione di marginalità educativa a divenire protagoniste del panorama accademico e professionale, seppur con persistenti disparità sia nei percorsi di studio che negli ambienti lavorativi. Parallelamente, realtà “lontane”come l’Iran dimostrano che l’accesso all’istruzione può essere tanto un simbolo di libertà quanto un terreno di conflitto con regimi patriarcali e autoritari.
Le vicende descritte da Elena Ferrante e Azar Nafisi offrono un potente spaccato di come lo studio sia stato, e continui a essere, un mezzo per sfidare le oppressioni socioculturali e politiche. Dai rioni di Napoli ai seminari clandestini di Teheran, l’istruzione rappresenta una via di fuga, uno strumento di autodeterminazione ed elevazione sociale e intellettuale, ma anche una chiave per immaginare un futuro diverso.
BIBLIOGRAFIA:
L’istruzione femminile in Italia:
L’Amica Geniale di Elena Ferrante
L’istruzione femminile in Iran e la sua storia:
Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi
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