Articolo a cura di Ginevra Santoro e Antonio Callipo
Revisione a cura di Matteo Biasetti
Introduzione
Nel contesto odierno, in cui le grandi aziende tecnologiche esercitano un potere senza precedenti, le leggi antitrust sono diventate fondamentali per garantire un mercato competitivo e proteggere i consumatori. Piattaforme come Google, che dominano l'accesso alle informazioni, la pubblicità online e i servizi digitali, hanno la capacità di soffocare l'innovazione e limitare la concorrenza. Il caso antitrust che vede coinvolti gli Stati Uniti contro Google è emblematico di questa dinamica.
L'accusa principale è che Google abbia abusato della sua posizione dominante nel settore della ricerca online e della pubblicità digitale, manipolando i risultati di ricerca per favorire i propri servizi a discapito dei concorrenti. Le autorità americane affermano che Google ha utilizzato pratiche anticoncorrenziali, come contratti esclusivi con produttori di dispositivi e accordi con altri giganti tecnologici per garantire che il suo motore di ricerca fosse preimpostato come default, limitando così la possibilità per altri motori di ricerca di entrare nel mercato. Google avrebbe, inoltre, stipulato accordi con altre grandi aziende tecnologiche per escludere la concorrenza nella pubblicità online, consolidando il suo dominio sul mercato e riducendo le opportunità per i rivali.
Nel contesto di queste accuse, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha preso in considerazione la possibilità di smantellare Google per ridurre il suo potere nel mercato e incentivare la concorrenza. Smantellare Google potrebbe avere come conseguenza la separazione delle sue varie divisioni (come il motore di ricerca, la pubblicità online e Android) in entità indipendenti, per evitare che l'azienda continui a utilizzare la sua posizione dominante per soffocare la competizione. Sebbene l'idea di "spezzare" Google rappresenti una soluzione estrema, è stata discussa come un’opzione per restituire spazio a nuovi attori nel mercato e garantire una concorrenza leale.
Tuttavia, questa proposta solleva anche preoccupazioni riguardo alle implicazioni pratiche ed economiche di un tale smembramento, avviando un dibattito su quale sia la migliore strategia per affrontare i monopoli tecnologici.
Esistono soluzioni alternative allo smantellamento di Google per contrastare il monopolio delle grandi aziende tecnologiche, o l'unica via percorribile è separare radicalmente le loro divisioni? Smantellare Google potrebbe davvero restituire spazio a nuovi attori del mercato, o rischierebbe di creare nuove difficoltà e disuguaglianze, concentrando il potere in altre mani?
Fatti e cronologia degli eventi
2019: Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, insieme a 11 Stati americani, avvia un'indagine antitrust ufficiale su Google, concentrandosi sulle sue pratiche nel settore della pubblicità online e dei motori di ricerca.
2020: Il Dipartimento presenta una causa legale antitrust contro Google, accusandola di aver violato le normative antitrust per aver manipolato i risultati di ricerca e stipulato accordi esclusivi per consolidare il suo dominio nel mercato della pubblicità digitale. La causa accusa Google di aver adottato pratiche anticoncorrenziali per escludere i concorrenti e mantenere il controllo del 90% del mercato globale dei motori di ricerca.
2021: Alcuni singoli stati, tra cui l'Arizona, avanzano cause separate contro Google per violazioni legate alla raccolta e utilizzo dei dati degli utenti.
2022: Il Dipartimento dichiara che la causa contro Google rappresenta una delle battaglie antitrust più grandi e significative dalla causa contro Microsoft negli anni '90, con implicazioni che potrebbero ridisegnare il panorama della tecnologia digitale.
2023: Il caso continua a svilupparsi, con un aumento delle discussioni riguardo alla possibilità di smantellare Google, separando le sue divisioni per stimolare la concorrenza. I legislatori e le autorità antitrust si interrogano anche sull'adozione di regolamenti più mirati e meno radicali, come restrizioni sulle pratiche di raccolta dei dati e politiche di maggior trasparenza, al fine di limitare l'influenza delle grandi piattaforme tecnologiche senza ricorrere a misure drastiche come lo smembramento.
Le proposte del Dipartimento di Giustizia USA
Il 9 ottobre 2024 il Dipartimento di Giustizia ha presentato una serie di proposte finalizzate a limitare la posizione dominante di Google. L’obiettivo è quello di porre fine al "dominio illegale" di Google nei settori delle ricerche online e della pubblicità digitale.
Nel documento di 32 pagine inviato al giudice federale Amit P. Mehta a Washington, il Dipartimento di Giustizia ha delineato le sue argomentazioni per supportare la necessità di interventi strutturali contro Google, accusato di aver creato e mantenuto un monopolio nel settore delle ricerche online. Il documento redatto dal Dipartimento presenta alcune possibili sanzioni nei confronti dell’azienda californiana, il cui controllo unilaterale sul mercato non solo danneggia la concorrenza, ma limita anche l'innovazione e le opzioni disponibili per i consumatori.
Nel documento, il Dipartimento di Giustizia sottolinea che le attuali misure correttive non sarebbero sufficienti per ridurre il potere di Google, poiché l'azienda ha saputo adattarsi e aggirare i tentativi di regolamentazione. Per questo motivo, l'agenzia propone un "cambio strutturale", cioè una separazione delle divisioni che permettano a Google di operare in modo indipendente, per ridurre la sua influenza e promuovere la concorrenza. Nel testo si legge come si stiano “considerando rimedi comportamentali e strutturali” che hanno l’obiettivo di separare Chrome, Play Store e Android dall’ecosistema dell’azienda, al fine di impedire a Google di sfruttare questi suoi prodotti per raccogliere dati con cui alimentare il suo motore di ricerca, e dunque avere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti attuali o ai possibili futuri.
La limitazione delle interconnessioni tra i vari prodotti del gruppo diMountain View arriva dopo che i procuratori federali hanno ottenuto una prima vittoria significativa in un caso storico lo scorso agosto. In quell'occasione, il giudice Mehta, del distretto di Columbia, chiudendo quattro anni di indagini su Google per conto degli Stati Uniti, era arrivato alla conclusione che la società aveva abusato della sua posizione dominante nel mercato delle ricerche online, violando così le leggi antitrust statunitensi.
La Corte federale aveva già condannato ad agosto gli accordi esclusivi da miliardi di dollari che Google aveva stipulato con produttori di dispositivi come Apple e Samsung, per fare in modo che il suo motore di ricerca fosse impostato come predefinito su computer, tablet e smartphone. Dopo la sentenza di agosto che ha sancito il ruolo di “monopolista” nella ricerca di Google, il Dipartimento di Giustizia può portare il processo alla seconda fase, in cui il giudice Mehta determinerà le effettive sanzioni da imporre a Google. I toni sono duri: “Per più di un decennio Google ha controllato i canali di distribuzione più popolari, lasciando ai rivali incentivi minimi o nulli per competere per gli utenti. Per rimediare a questi danni è necessario non solo porre fine al controllo di Google sulla distribuzione oggi, ma anche garantire che Google non possa controllare la distribuzione di domani”.
Nell'istanza presentata in Tribunale, la pubblica accusa ha individuato quattro aree chiave su cui concentrarsi:
La distribuzione delle ricerche e la condivisione delle entrate;
La generazione e visualizzazione dei risultati di ricerca;
La gestione della pubblicità e della relativa monetizzazione;
La raccolta e l'uso dei dati.
La prima area d’azione individuata nel documento è la ricerca sul web, con la richiesta di introdurre meccanismi volti a limitare o eliminare gli accordi commerciali che permettono a Google Search di essere impostato come motore di ricerca predefinito su vari dispositivi e applicazioni. In questo contesto, potrebbe essere stabilito come rimedio anche il divieto di concludere contratti esclusivi, come quello in cui Google paga annualmente circa 20 miliardi di dollari ad Apple per essere il motore di ricerca predefinito su Safari. I rimedi potrebbero anche includere la condivisione dei dati raccolti per migliorare i modelli di classificazione delle ricerche, gli indici e gli algoritmi pubblicitari, che i pubblici ministeri sostengono siano stati accumulati illegalmente. Per affrontare eventuali problemi di privacy dei dati che ne derivano, a Google potrebbe essere “vietato utilizzare o conservare dati che non possono essere effettivamente condivisi con altri”.
Il Dipartimento di Giustizia si focalizza anche sulla ristrutturazione delle pratiche pubblicitarie del gigante e sulla trasparenza dell'accesso e dell'utilizzo dei dati. I correttivi rispetto alla politica adottata finora da Google potrebbero includere la condivisione dei dati di ricerca degli utenti con i concorrenti e la limitazione dell'uso di tali risultati per l'addestramento di nuovi modelli di intelligenza artificiale generativa. Si potrebbero, quindi, aggiungere misure volte a limitare il controllo dell'azienda sulle tecnologie emergenti legate alle query web, come l'intelligenza artificiale.
Le proposte avanzate dal Dipartimento di Giustizia vanno a costituire quella che sarebbe l'azione legale in assoluto più forte mai messa in atto per regolare uno dei giganti della tecnologia.
La risposta di Big G
Una possibile disgregazione di Google ridisegnerebbe un mercato di ricerca online in cui l'azienda controlla oltre il 90% delle query, trasformando un settore che ha contribuito a fare di Alphabet una delle società a maggior capitalizzazione a livello globale.
Google ha risposto alle misure correttive proposte, definendole “radicali” e fuori dalla portata delle problematiche legali sollevate dal caso. In un post firmato dalla vicepresidente Lee-Anne Mulholland, l'azienda ha avvertito che tali interventi rappresenterebbero una minaccia per “i consumatori, le imprese e la competitività americana”.
Dunque, secondo Google, la proposta di un possibile smantellamento o la separazione delle sue divisioni sarebbe una misura dannosa per l'innovazione e per i consumatori. L'azienda ha dichiarato che, al contrario, l'integrazione dei suoi servizi consente di offrire un'esperienza più fluida e integrata, che non esclude i concorrenti ma stimola piuttosto la competizione.
Google ha inoltre sottolineato che le pratiche di contratti esclusivi con produttori di dispositivi, come quello con Apple, sono frutto di accordi commerciali volontari e reciprocamente vantaggiosi. Secondo l’azienda, questi accordi hanno lo scopo di garantire un'esperienza migliore per gli utenti, e non quello di ostacolare la concorrenza.
Infatti, in risposta alle accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia, Google ha sempre difeso fermamente le proprie pratiche, sostenendo che le sue operazioni sono completamente legali e che le sue azioni abbiano effettivamente beneficiato i consumatori.
Infine, l’azienda ha evidenziato il suo impegno a collaborare con le autorità di regolamentazione per promuovere una concorrenza equa, pur continuando a difendere le proprie pratiche aziendali, che considera non solo legittime, ma anche allineate con le dinamiche del mercato.
Il precedente di Microsoft
La sentenza di Microsoft del 2001 costituisce il precedente più importante nella storia recente in ambito di violazioni delle leggi antitrust da parte di una grande azienda tecnologica. Le conseguenze derivanti dalla sentenza hanno contribuito in modo fondamentale alla regolamentazione delle Big tech nel mondo. Quello che è accaduto a Microsoft ha infatti diverse analogie con il caso che oggi coinvolge Google.
Nel 2000, il giudice Thomas P. Jackson emise la prima sentenza che stabiliva che Microsoft aveva violato le leggi antitrust per via dell'integrazione del browser Internet Explorer nel sistema operativo Windows, considerata anticoncorrenziale. Microsoft era quindi accusata di aver utilizzato il suo monopolio nel mercato dei sistemi operativi per imporre Internet Explorer come browser predefinito, impedendo così la concorrenza di altri motori di ricerca. Il giudice ordinò la divisione di Microsoft in due entità separate: una per i sistemi operativi (Windows) e l'altra per le applicazioni (Internet Explorer e Office).
Tuttavia, questa decisione fu annullata successivamente dalla Corte d'appello del Circuito D.C. nel 2001. Nonostante ciò, si confermò che Microsoft aveva abusato della sua posizione di predominio sul mercato e la corte ordinò all'azienda di apportare modifiche sia a livello strutturale che comportamentale, al fine di ripristinare la concorrenza nel settore. Anche se Microsoft non è stata divisa come azienda, la sentenza ha sottolineato l'importanza di monitorare le pratiche monopolistiche delle società tecnologiche e ha portato ad un aumento della sorveglianza da parte delle autorità antitrust sul modo in cui le grandi aziende gestiscono le loro posizioni dominanti nel mercato.
La vicenda di Microsoft ha infatti avuto un impatto profondo sulla regolamentazione successiva del colosso di Mountain View e ha rafforzato il ruolo di sorveglianza del Dipartimento di Giustizia, che vede oggi, contro Google, una nuova opportunità per il governo degli Stati Uniti di dimostrare la propria determinazione a frenare il potere delle grandi aziende.
La sentenza attesa nel 2025
L’istruttoria del Dipartimento di Giustizia ha evidenziato come Google eserciti un monopolio nei canali di distribuzione delle ricerche online. L’azienda ha infatti pagato ben 26 miliardi di dollari ad Apple e Samsung per rendere il suo motore di ricerca quello predefinito sui loro dispositivi mobili. Queste pratiche rendono estremamente difficile per i concorrenti competere con Google, che, grazie al suo potere di fuoco in termini di risorse finanziarie, disincentiva i partner a scegliere altri motori di ricerca.
Una decisione finale del giudice è attesa ad agosto 2025, con la quale verrebbero definite le possibili soluzioni e sanzioni a cui sarà condannata Google. Le importanti conseguenze derivanti dalla sentenza impatterebbero non solo la singola azienda, ma rappresenterebbero un punto di svolta per tutto il settore tecnologico e l’economia digitale.
Conclusioni
Il caso antitrust contro Google incarna una sfida cruciale per il futuro della regolamentazione tecnologica e dell’equilibrio competitivo nel mercato digitale. Il Dipartimento di Giustizia deli Stati Uniti punta a ridimensionare il potere di un’azienda che controlla una quota schiacciante della ricerca e della pubblicità online, proponendo misure che potrebbero trasformare Google e, con esso, l’intero panorama digitale.
La sfida principale sarà come garantire un ecosistema tecnologico innovativo e pluralista senza soffocare il dinamismo del settore. Infatti, mentre Google difende la propria integrazione verticale come un vantaggio per i consumatori, l’accusa ritiene che la sua posizione dominante blocchi la concorrenza. La sentenza attesa per il 2025 segnerà quindi un momento decisivo: qualsiasi sia l’esito, lascerà un’impronta duratura sulla governance delle Big Tech e sulla tutela del libero mercato nell’era digitale.
BIBLIOGRAFIA:
Proposte del Dipartimento di Giustizia:
https://www.avvenire.it/economia/pagine/perche-il-governo-degli-stati-uniti-vuole-smantellare-google
Risposta di Big G:
Precedente di Microsoft:
https://www.avvenire.it/economia/pagine/perche-il-governo-degli-stati-uniti-vuole-smantellare-google
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