Riforma o status quo? Il Referendum sulla Cittadinanza italiana
- advocacylitigation
- 9 mag
- Tempo di lettura: 5 min
Articolo a cura di Alexia Rossi
Revisione a cura di Giulia Maffeis

Introduzione
Nelle giornate dell’8 e del 9 giugno 2025, i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi. Uno di questi, particolarmente significativo, riguarda la modifica della legge sulla cittadinanza italiana. In particolare, il quesito mira a ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale necessario per la naturalizzazione degli stranieri extracomunitari. Tale proposta, avanzata da un comitato promotore composto da forze politiche progressiste, ha acceso un ampio dibattito giuridico e politico in merito ai temi dell'integrazione, dell'appartenenza e del ruolo dello Stato nel determinare le condizioni di accesso alla cittadinanza. Questo articolo si propone di analizzare i profili giuridici e costituzionali del referendum, considerando il quadro normativo vigente, la posizione della Corte Costituzionale, le implicazioni giuridiche e il confronto con gli altri ordinamenti europei.
Il quadro normativo attuale: la Legge n. 91/1992
In Italia, la disciplina della cittadinanza è contenuta nella Legge 5 febbraio 1992, n. 91. Essa ha introdotto un sistema misto, fondato prevalentemente sul principio dello ius sanguinis, con un'apertura limitata allo ius soli, riservato a specifiche ipotesi. In particolare, l'articolo 9 della legge regola le modalità di concessione della cittadinanza per naturalizzazione, sistema riservato ai soggetti stranieri privi di legami familiari con cittadini italiani. Il comma 1, lettera f), prevede che la cittadinanza possa essere concessa allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’Interno, previo parere del Consiglio di Stato. La previsione di un requisito temporale così lungo, unito all’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione dell’istanza, ha spesso comportato tempi eccessivamente dilatati per l’acquisizione della cittadinanza. In molte situazioni, al soddisfacimento dei requisiti non consegue automaticamente il riconoscimento della cittadinanza, che rimane subordinato ad una valutazione complessiva del comportamento del richiedente, della sua integrazione, del reddito e dell’assenza di condanne penali.
Il quesito referendario e l'intervento della Corte Costituzionale
Il quesito referendario ammesso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 del 2025 propone l’abrogazione parziale dell’articolo 9, comma 1, lettera f), eliminando così il requisito dei dieci anni di residenza legale. In caso di esito positivo del referendum, la norma resterebbe priva di un’indicazione temporale esplicita, lasciando spazio all’intervento del legislatore ordinario per fissare un nuovo termine, con l’intento — espresso dai promotori — di stabilire la soglia dei cinque anni. La Corte Costituzionale ha dichiarato il quesito ammissibile, ritenendo che non ricadano sullo stesso le cause di inammissibilità previste dall’articolo 75 della Costituzione. Il referendum, infatti, non riguarda leggi di bilancio, tributarie o di amnistia e indulto, né tocca direttamente trattati internazionali. La Corte ha inoltre specificato che la legge sulla cittadinanza non può essere considerata una legge costituzionalmente necessaria a contenuto vincolato, e dunque può essere oggetto di intervento abrogativo tramite referendum.
Profili costituzionali e giuridici
Il tema della cittadinanza coinvolge molteplici profili di diritto costituzionale, in particolare i principi di dignità e uguaglianza. L’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, anche quando non cittadino, mentre l’articolo 3 sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Sebbene quest’ultima disposizione si riferisca formalmente ai soli cittadini, essa può essere letta come espressione di un principio ispiratore delle politiche di inclusione sociale. In quest’ottica, la riforma del sistema di accesso alla cittadinanza potrebbe essere interpretata come uno strumento per favorire la partecipazione di persone che, pur non essendo ancora formalmente cittadini, vivono stabilmente in Italia e contribuiscono attivamente alla comunità.
Occorre però considerare che la cittadinanza rappresenta non solo un diritto individuale, ma anche un elemento fondativo dell’identità nazionale e un riconoscimento, da parte dello Stato, della piena appartenenza di un individuo alla comunità politica. In tale prospettiva, la discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione delle domande trova una sua giustificazione. Tuttavia, più che l’estensione del requisito temporale, ciò che spesso ostacola l’ottenimento della cittadinanza è proprio l’elevato grado di tale discrezionalità che, pur giustificata dalla natura sostanziale dell’atto di concessione, deve comunque rispettare criteri oggettivi e trasparenti, come ha ribadito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4344/2019. In questo contesto, ridurre il requisito della residenza legale a cinque anni non comporterebbe l'automatica concessione della cittadinanza, ma eliminerebbe uno degli ostacoli iniziali più gravosi, pur lasciando inalterate le complessità di un iter procedimentale spesso percepito come lungo e incerto.
L'Italia a confronto con gli altri ordinamenti europei
Rispetto agli altri ordinamenti europei, l’Italia si distingue per avere uno dei requisiti di residenza più lunghi in Europa per la concessione della cittadinanza. In Germania, ad esempio, il termine ordinario è di otto anni, ma può scendere a cinque in presenza di percorsi di integrazione completati con successo. In Francia sono richiesti cinque anni di residenza regolare, ridotti a due in alcuni casi (come il completamento di studi universitari in Francia). In Portogallo la soglia è di cinque anni, e lo stesso accade nei Paesi Bassi. Solo la Spagna richiede dieci anni, ma con significative deroghe per i cittadini dei Paesi latinoamericani. È dunque evidente che la soglia italiana dei dieci anni non solo è una delle più elevate, ma risulta anche scarsamente giustificata alla luce delle tendenze europee, che riconoscono l’importanza di favorire l’inclusione civica degli stranieri stabilmente residenti, specialmente in un contesto di crescente mobilità internazionale e multiculturalismo.
Posizioni politiche e prospettive legislative
I promotori del referendum, tra cui le forze politiche +Europa, Possibile, Radicali Italiani, Rifondazione Comunista e Partito Socialista Italiano, sostengono che la riforma rappresenti un passo necessario verso una società più inclusiva, in grado di riconoscere i diritti di chi già vive e contribuisce alla vita del Paese. Essi sottolineano l’inadeguatezza dell’attuale impianto normativo, rimasto sostanzialmente invariato dal 1992, e la necessità di una nuova legge sulla cittadinanza che risponda alle mutate esigenze sociali.
Le forze di centrodestra, invece, esprimono forti riserve. A loro avviso, ridurre il termine temporale equivarrebbe a svuotare di significato la cittadinanza stessa, ridotta ad un diritto meramente procedurale, senza considerare gli aspetti identitari e culturali. Alcuni esponenti sostengono inoltre che la cittadinanza non dovrebbe essere usata come strumento di integrazione, ma come suo risultato finale.
Conclusione
Il referendum sulla cittadinanza rappresenta una potenziale svolta nel modo in cui l’Italia concepisce la partecipazione alla comunità politica. L’aspetto più rilevante non è tanto la riduzione in sé del termine da dieci a cinque anni, quanto la messa in discussione dell’architettura normativa che regola l’appartenenza nazionale. Se il quesito sarà approvato, spetterà al Parlamento intervenire tempestivamente per colmare il vuoto normativo lasciato dall’abrogazione, indicando in modo chiaro e coerente i nuovi requisiti temporali e sostanziali. Al di là dell’esito referendario, il dibattito ha già posto al centro dell’attenzione pubblica la necessità di riformare una disciplina ormai anacronistica, favorendo un modello di cittadinanza più aderente alla realtà sociale e ai principi costituzionali.
Bibliografia
Costituzione della Repubblica Italiana. (1948). Recuperata da https://www.senato.it
Legge 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Recuperata da https://www.normattiva.it
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OECD. (2011). Naturalisation: A Passport for the Better Integration of Immigrants?
ANSA. (2025). Referendum cittadinanza, il dibattito politico. Recuperato da https://www.ansa.it
Il Sole 24 Ore. (2025). Cittadinanza, cosa cambia con il referendum. Recuperato da https://www.ilsole24ore.com
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