Articolo a cura di Carlotta Bagnoli
Revisione a cura di Riccardo Moggio
Introduzione
Nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2024 è stata pubblicata la legge n. 14 del 21 febbraio 2024, che sancisce la ratifica e l’esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Consiglio dei Ministri della Repubblica di Albania, finalizzato al rafforzamento della collaborazione in materia migratoria. Tale Protocollo, sottoscritto a Roma il 6 novembre 2023, rappresenta un significativo passo verso una cooperazione più strutturata tra i due Stati per affrontare le sfide legate alla gestione dei flussi migratori.
In base ad esso, l’Albania concede all’Italia il diritto di utilizzare determinate aree demaniali, assimilate giuridicamente alle zone di frontiera o di transito, di cui al D.Lgs n.25/2008 inerente alle procedure per ottenere lo status di rifugiato, messe a disposizione a titolo gratuito per l’intera durata dell’accordo. Tali aree saranno destinate alla costruzione e alla gestione di strutture finalizzate allo svolgimento delle procedure di frontiera e al rimpatrio dei migranti privi dei requisiti per l’ingresso e la permanenza nel territorio italiano.
In tali contesti, in presenza di specifiche condizioni, trova applicazione una procedura accelerata per l'esame delle richieste di protezione internazionale, conformemente a quanto previsto dal comma 3 della normativa oggetto di analisi.
Le strutture realizzate, una situata nell'entroterra, presso la località di Gjader, e una presso il porto di Shengjin, sono designate come "strutture per le procedure di ingresso e per l'accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e il rimpatrio dei migranti non aventi diritto all'ingresso e alla permanenza nel territorio italiano”.
La struttura situata presso il porto di Shengjin è specificamente destinata a svolgere le funzioni proprie dei centri di prima accoglienza, assimilabili agli hotspot, finalizzati alla gestione iniziale dei migranti soccorsi e sbarcati. In tale contesto, vengono effettuati lo screening sanitario, l'identificazione personale, il fotosegnalamento e la formalizzazione delle domande di protezione internazionale. L'accesso alla struttura è riservato ai soli migranti uomini salvati in acque internazionali da navi italiane, escludendo pertanto le categorie vulnerabili, quali minori, donne, anziani e persone fragili.
Le procedure di frontiera accelerate, la cui convalida è prevista entro ventotto giorni, sono invece espletate presso la struttura di Gjader. Qui si svolgono l'udienza di convalida, l'esame delle domande di protezione internazionale da parte della Commissione d'asilo – eseguito da remoto – e la valutazione di eventuali ricorsi. La struttura di Gjader è altresì destinata a svolgere le funzioni tipiche dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (C.P.R.), trattenendo i migranti a cui è stato negato il riconoscimento della protezione internazionale e che, in attesa di rimpatrio, non possiedono i requisiti per accedere o soggiornare in Italia o nell'Unione Europea. All'interno della struttura sarà inoltre predisposta un'area dedicata alla detenzione dei migranti che dovessero commettere reati all'interno dei centri.
Sfide e obiettivi nella collaborazione migratoria
Secondo le dichiarazioni rilasciate dai due primi ministri Meloni e Rama, l’accordo di rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, contenente anche alcune disposizioni di coordinamento con l’ordinamento giuridico interno italiano, è stato concepito con l'obiettivo primario di contrastare il traffico di esseri umani e arginare i flussi migratori irregolari, regolamentando al contempo l'ingresso dei migranti sul territorio italiano.
Inoltre, questa iniziativa si configura come un gesto simbolico di riconoscenza verso l’Italia per il supporto specialmente economico prestato in passato, ma si profila anche come un mezzo strategico per consolidare la partnership nell’area balcanica, con particolare attenzione alla prospettiva di un consolidamento dei rapporti con l’Unione Europea e di un ulteriore tentativo di ingresso dello Stato albanese nell’Unione.
Tale adesione, perseguita attraverso scelte strategiche che mirano a soddisfare gli standard richiesti, costituisce difatti una priorità politica per il governo albanese, la cui ambizione si è riflessa, soprattutto negli ultimi anni, sia nella normativa interna sia nelle concessioni internazionali destinate a Stati esteri e investitori stranieri. Tuttavia, è rilevante sottolineare che, storicamente, l’Albania non si è mai trovata a gestire flussi migratori in entrata, bensì esclusivamente in uscita(nonostante in tempo recenti i flussi migratori dalla Grecia e Turchia passano spesso per l’Albania). Sono proprio la persistente instabilità economica e il presunto deficit di capacità gestionale derivante da lacune sul piano legislativo, amministrativo e infrastrutturale a creare non pochi dubbi e critiche sulla sostenibilità e coerenza del progetto, evidenziando le sfide logistiche e organizzative che lo Stato albanese potrebbe incontrare nell’implementazione di questo Protocollo.
Le criticità
L’accordo presenta diverse criticità, ravvisabili soprattutto sotto il profilo giuridico ed economico. Sul piano finanziario, si evidenziano gli ingenti costi che l’esecuzione pratica del progetto comporterà. Sebbene il Presidente del Consiglio Meloni abbia promosso l'accordo anche come una misura finalizzata a ridurre le spese legate alla gestione dei migranti che raggiungono il territorio italiano, un'analisi più dettagliata dei costi stimati rivela un quadro in realtà più complesso.
Secondo le previsioni governative, la gestione dei centri di accoglienza avrà un costo complessivo superiore a 650 milioni di euro in un arco temporale di cinque anni. A questa cifra si sommano, oltre alle spese di logistica inevitabilmente elevate, un contributo stimato in circa 30 milioni di euro per coprire i costi di gestione operativa, e ulteriori oltre 250 milioni di euro per le trasferte dei funzionari ministeriali coinvolti nel progetto.
Se l’intesa delineata tra le parti è stata oggetto di biasimi per la significativa pressione economica, incidente interamente sulle casse dello stato, nondimeno la questione ha generato polemiche sotto il profilo giuridico, di rilevanza sia sul piano del diritto interno che nell’ambito del diritto del’Unione Europea, i cui nodi giuridici sono stati evidenziati dalle recenti pronunce del Tribunale di Roma e del Tribunale di Bologna, a loro volta scaturite dall’analisi di una precedente sentenza interpretativa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La sentenza della CGUE
La causa C‑406/22 dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia resa il 4 ottobre 2024 ha infatti affrontato il tema della qualificazione di un paese terzo come "paese di origine sicuro”. La vicenda trae origine dalla domanda di protezione internazionale presentata nella Repubblica Ceca da un cittadino moldavo. Il Ministero dell’Interno ceco aveva rigettato tale richiesta il 9 febbraio 2022, ritenendola manifestamente infondata, essendo la Moldavia (esclusa la Transnistria) designata come paese di origine sicuro. Il cittadino non era riuscito a dimostrare che, nel suo caso specifico, tale presunzione non fosse applicabile. Contro il rigetto, ha adito il Tribunale regionale di Brno, che ha sollevato una serie di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
Il giudice di rinvio si chiedeva se un paese terzo perdesse automaticamente lo status di paese di origine sicuro qualora invocasse deroghe agli obblighi derivanti dalla CEDU, ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione, che prevede la possibilità delle Alte Parti contraenti di derogare parti della Convenzione in caso di urgenza. La Corte in merito ha stabilito che la sola invocazione dell’articolo 15 della CEDU da parte di un paese terzo non è sufficiente a far venir meno il suo status di paese sicuro, ma gli Stati membri devono verificare se le modalità di tale deroga siano tali da compromettere la designazione.
Un’ulteriore questione sollevata, cui la Corte ha dato risposta negativa, riguardava la compatibilità con il diritto dell’Unione della designazione come paese di origine sicuro di uno stato in cui solo alcune aree del territorio soddisfano i criteri previsti. Per tale designazione occorre appunto che il suddetto paese possa essere considerato sicuro in toto. La Corte, richiamando i punti 52, 68 e 69 della sentenza, afferma pertanto: ‘’la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all'articolo 9 della direttiva 2011/95, a tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno. Le condizioni stabilite in tale allegato devono essere rispettate in tutto il territorio del paese terzo interessato affinché quest'ultimo sia designato come paese di origine sicuro’’.
Infine, il giudice di rinvio interroga la Corte circa l’onere - da essa confermato - del giudice nazionale di rilevare d’ufficio le violazioni delle condizioni di designazione nell’esame completo ed ex nunc richiesto dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, anche se tali violazioni non siano state espressamente sollevate. La sentenza ribadisce il principio secondo cui l’inclusione di un paese nella lista dei paesi sicuri non esonera dall’obbligo di una valutazione individuale e aggiornata, da parte del giudice, della situazione concreta del richiedente asilo. Tale interpretazione obbliga gli Stati membri a garantire un ricorso effettivo che preveda l’esame completo e approfondito di ogni elemento di fatto e di diritto pertinente.
Le sfide normative
Per l’Italia ciò comporta la necessità di adeguare la normativa interna, oggetto del decreto interministeriale per la designazione dei paesi di origine sicuri. L’articolo 2-bis del D.lgs. n. 25/2008, consente infatti di designare un paese come sicuro con esclusione di alcune aree territoriali, definendo una disciplina incompatibile con i principi enunciati nella sentenza. Difatti l’elenco dei paesi sicuri stilati è stato recentemente ridotto, e non include attualmente né Egitto né Bangladesh, a differenza di quanto previsto nel precedente decreto.
Date queste premesse, il Tribunale di Roma, con decreto n. 42251/2024, ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento in Albania di un cittadino egiziano, applicando il principio stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo cui l’articolo 37 della direttiva 2013/32 osta alla designazione di un paese terzo come "paese di origine sicuro" qualora anche solo alcune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni richieste dall’allegato I della direttiva. Difatti il Ministero degli Affari Esteri italiano definisce l’Egitto un paese generalmente sicuro, ma con eccezioni significative per determinate categorie di persone, come oppositori politici, difensori dei diritti umani e soggetti a rischio di persecuzione. Questo dato risulta cruciale alla luce del richiamo della Corte alla necessità di garantire che, in modo generale e uniforme, non si ricorra mai a pratiche persecutorie, torture o trattamenti degradanti, come sancito dagli articoli 8 e 9 della direttiva 2011/95 e dal decreto legislativo n. 251/2007.
Parallelamente, con ordinanza n. 46690/2024, il medesimo tribunale ha rimesso alla Corte di Giustizia UE il caso di sette migranti egiziani e bengalesi trattenuti nel centro di Gjader, in Albania, sospendendo il provvedimento di convalida del trattenimento. La decisione ha messo in discussione la compatibilità del trasferimento con il principio di non-refoulement sancito dall’articolo 33 della convenzione di Ginevra, il quale vieta il trasferimento di individui verso paesi dove potrebbero subire persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti. Basandosi sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 22917/ 2019, detto principio non si limita a un obbligo meramente negativo, consistente nel divieto di trasferire una persona verso un territorio in cui la sua vita o libertà possano essere minacciate, ma impone anche un obbligo positivo di garanzia al territorio, al fine di permettere al richiedente di esercitare pienamente il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale. In merito a ciò, le procedure di pre-screening condotte inizialmente sulle imbarcazioni minori e successivamente a bordo della nave Libra, i successivi trasbordi in alto mare e il ripetuto screening effettuato presso Shengjin sollevano serie perplessità sulla loro legittimità. Tali prassi, infatti, appaiono in contrasto con il quadro normativo internazionale e lasciano emergere dubbi significativi circa la concreta possibilità di utilizzare il centro di permanenza di Gjader per accogliere i migranti nei termini previsti dall'accordo.
Situazione quasi analoga quella emergente dal Tribunale di Bologna: in tal caso la presunta violazione delle direttive 32 e 33 del 2013 è da collocarsi nel contesto di un ricorso presentato da un richiedente asilo del Bangladesh, la cui domanda di protezione internazionale era stata respinta per manifesta infondatezza proprio in quanto proveniente da un ‘’paese sicuro”. Il tribunale ha esaminato l’applicazione dell’art. 35-bis, comma 4, del decreto legislativo 25/2008, interrogandosi se la sospensione del provvedimento fosse automatica o condizionata alla dimostrazione di "gravi e circostanziate ragioni’’, e sollevando dubbi sulla legittimità della lista dei "Paesi sicuri” stilata nel decreto, tra cui appare anche il Bangladesh, mettendo in evidenza potenziali criticità rispetto alla tutela effettiva dei richiedenti asilo.
Equilibrio tra effettività della tutela giurisdizionale e sovranità nazionale
In entrambi i casi, emerge chiaramente il ruolo centrale del principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, che impone agli stati membri di garantire il pieno accesso alla giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali.
L'interazione tra le disposizioni della Carta, le direttive europee e le norme costituzionali italiane pone una serie di dubbi di costituzionalità, sottolineando la necessità di un bilanciamento tra la sovranità degli stati membri nella gestione dei flussi migratori e l’impegno a rispettare gli standard di protezione previsti dal diritto dell’Unione.
In primo luogo, l’articolo 10 della Costituzione Italiana, che sancisce l’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme internazionali e riconosce il diritto d’asilo a coloro che non possono esercitare le libertà democratiche nel proprio paese, rischierebbe di essere disatteso qualora i migranti trasferiti in Albania non beneficiassero delle medesime garanzie previste sul territorio italiano. Analogamente, l’articolo 24, che tutela l’accesso alla giustizia e garantisce il diritto a una difesa effettiva, potrebbe risultare compromesso laddove i migranti trattenuti in Albania non fossero posti nelle condizioni di esercitare pienamente i loro diritti, in particolare attraverso il ricorso al sistema giudiziario italiano. Un ulteriore profilo critico riguarda la riserva di legge, connessa alla scelta di ricorrere alla decretazione d’urgenza per disciplinare settori che richiederebbero un più ampio dibattito legislativo e una maggiore certezza normativa.
Infine, l’accordo solleva delicate questioni di gerarchia delle fonti giuridiche. In base al principio del primato del diritto dell’Unione, i giudici italiani potrebbero essere chiamati a disapplicare eventuali disposizioni nazionali che si rivelassero incompatibili con le normative europee. Principio, questo, richiamato nel corso di più sentenze che hanno visto coinvolte CGUE e Corte Cost., (di cui la Sentenza Costa v Enel (1964), Sentenza Frontini (1973), caso Simmenthal (1978)), e finalmente sancito dalla Sentenza Granital del 1984. In virtù di tale giudizio è infatti stabilita, attraverso un approccio dualista, la ‘’configurazione dei due sistemi come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato’’: questo definisce, in applicazione del criterio di competenza, il primato del diritto europeo, che impone in caso di contrasto tra le due fonti la disapplicazione della normativa italiana.
Inoltre, il trasferimento dei migranti in Albania potrebbe sollevare questioni legate al rispetto degli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia, evidenziando il rischio potenziale di procedimenti formali in futuro. Tuttavia, va precisato che la procedura di infrazione resta, ad oggi, una richiesta avanzata dalle forze politiche di opposizione in Italia e non una realtà giuridica. Al contrario, la Commissione Europea, e in particolare la Presidente Ursula von der Leyen, si è più volte espressa favorevolmente rispetto all’accordo.
Conclusione
L'accordo tra Italia e Albania per il trattenimento dei migranti solleva interrogativi sostanziali sulla sua sostenibilità giuridica e operativa, che mettono in dubbio la possibilità di un utilizzo effettivo e continuativo delle strutture realizzate nel territorio albanese. La procura generale della Cassazionesi è espressa in merito alla questione il 4 dicembre, avanzando la richiesta di sospensione del giudizio in attesa della decisione della CGUE. Si poteva presumere siffatto risultato, soprattutto alla luce del precedentemente orientamento consolidato in una recente decisione a Sezioni Unite (Cass. n. 6745/2021; Cass. n. 30515/2023). In tale sentenza è stata rimarcata anche la definizione di rifugiato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 251/2007, definito come lo straniero che, a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova al di fuori del territorio del Paese di cui ha la cittadinanza.
Una decisione che non garantisca l’accesso effettivo alle richiamate tutele rischierebbe, pertanto, di ledere i principi richiesti per la protezione internazionale.
BIBLIOGRAFIA:
https://www.giustiziainsieme.it/it/diritti-umani/3276-non-convalida-trattenimento-migranti-in-albania#:~:text=42251, in applicazione della sentenza,di un migrante, cittadino egiziano.
https://www.unionedirittiumani.it/newsletter/sentenza-della-corte-di-giustizia-dellunione-europea-sui-paesi-di-origine-sicuri/#:~:text=Con sentenza interpretativa pubblicata in,come paese di origine sicuro.
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