top of page

CORTE EDU: IL CASO B.B. v SLOVAKIA

Articolo a cura di Irene Imperatrice e Flavia Lorenzo

Revisione a cura di Riccardo Moggio



Introduzione

Nell’ottobre del 2024 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia sulla domanda di una cittadina slovacca, presentata contro il proprio paese d’origine, per la presunta violazione dell’articolo 4 della CEDU, che sancisce il divieto di schiavitù e lavoro forzato.

Il giudizio della Corte è volto ad asserire l’esistenza di un obbligo procedurale, per il Paese sotto inchiesta, di condurre di un’indagine approfondita ed efficace in relazione al reato di tratta di esseri umani e la potenziale violazione dell’obbligo in questione, tale da giustificare l’imposizione di adeguate sanzioni ai danni della Slovacchia.

In un’ottica di miglioramento delle circostanze attuali, la pronuncia della CEDU rappresenta un elemento chiave tra le numerose politiche europee, recentemente introdotte, contro la lotta al traffico di esseri umani.

 

Politiche europee di lotta alla tratta di esseri umani

Con il termine “tratta di esseri umani” si fa riferimento al fenomeno di reclusione, trasporto, trasferimento e accoglienza di individui per mezzo della forza, frode o inganno con il fine ultimo di sfruttarle a scopo di lucro.

 

All’interno dell’Unione Europea, ogni anno, si accerta un numero di vittime di tratta di esseri umani superiore alle 7.000. Tuttavia, il numero risulterebbe essere alquanto indicativo per via dei numerosi casi che non vengono portati alla luce. Nel complesso, la maggior parte delle vittime sono donne e ragazze.

 

L’attività di traffico di esseri umani può assumere diverse forme: lavoro forzato, sfruttamento sessuale, donazioni di organi, attività criminali forzate.

Le motivazioni alla base del fenomeno della tratta sono diverse; tra queste, senza dubbio, povertà, violenza e attuali politiche migratorie rappresentano i fattori che maggiormente contribuiscono alla predisposizione delle vittime ai rischi di caduta all’interno di reti di traffico di esseri umani.

 

Di fronte a tutto ciò, l’Unione Europea risulta fortemente incline all’ampliamento e al rafforzamento delle politiche contro lo sfruttamento di esseri umani.

L’impegno dell’UE si è concretizzato nel corso del tempo con l’adozione di misure aventi uno spettro di influenza sempre più globale.

Nel 2021 la Commissione Europea ha introdotto la “strategia 2021-2025” finalizzata alla prevenzione della criminalità, protezione dei soggetti vulnerabili, emancipazione delle vittime e giustizia a danno dei trafficanti.

In particolare, viene ribadita la necessità di assicurare forme di cooperazione internazionale e strumenti di politica estera con l’obiettivo di contrastare in via definitiva le attività di traffico e sfruttamento di esseri umani.

 

Alla luce di quanto detto, si ritiene opportuna l’analisi di un recente caso, che ha visto proprio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come elemento chiave e centrale nella risoluzione della questione e nella condanna indubbia del reato di traffico di esseri umani.

 

La sentenza della CEDU

Il 24 ottobre 2024 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia sulla domanda presentata il 21 settembre 2021 da una cittadina slovacca, la signora B.B., ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, contro la Repubblica Slovacca per la presunta violazione dell’articolo 4 della CEDU.

 

In particolare, la pronuncia si basa sugli eventi che hanno portato alla condanna di un individuo per reato di sfruttamento della prostituzione ai danni della ricorrente, condotto in condizioni e circostanze tali da configurare un caso di traffico di esseri umani.

Il giudizio è volto, dunque, ad asserire l’esistenza di un obbligo, per il Paese sotto inchiesta, di condurre un’indagine efficace in relazione a tale reato e, in caso di accertamento, la violazione dell’obbligo stesso.

 

I fatti del caso

La ricorrente, cittadina slovacca di origine rom, ha vissuto sin dall'infanzia in uno stato di gravedifficoltà, caratterizzato da stress costante e abusi, che nel tempo hanno provocato un progressivo deterioramento delle sue condizioni fisiche e mentali, con conseguente insorgenza di disagi psicologici e difficoltà cognitive.

 

Cresciuta in una struttura statale, la ricorrente viene successivamente accolta da una famiglia affidataria, che fin da subito la inserisce in un contesto di sfruttamento e abusi, segnato da ripetute violenze psicologiche e fisiche. Dopo un periodo di coabitazione, la donna viene abbandonata senza una fissa dimora e privata di mezzi di sussistenza e supporto.

 

In tale circostanza, la richiedente entra in contatto con l'individuo Y, che solo successivamente si rivelerà essere la principale causa delle difficoltà che la donna si troverà ad affrontare. In breve tempo, Y diventa il punto di riferimento per la signora B.B., assumendo un ruolo chiave in unasituazione di vulnerabilità estrema.

 

L'uomo decide di trasferire la ricorrente nel Regno Unito, dove immediatamente la introduce nel contesto della prostituzione. Il rapporto tra i due si complica ulteriormente: la donna è costretta a consegnare all'individuo Y tutto il denaro guadagnato, subendo allo stesso tempo abusi legati all'uso di sostanze stupefacenti. In seguito, la ricorrente viene nuovamente abbandonata, questa volta in un Paese straniero.

 

A fronte di tali abusi, la donna si rivolge alle autorità di polizia, che, dopo un'attenta valutazione del caso, prendono in carico la sua protezione, affidandola all'Esercito della Salvezza. La signora B.B.entra così a far parte di un programma di supporto e protezione per le vittime di tratta di esseri umani gestito dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), che la assiste fino al suo rientro in Slovacchia.

 

Una volta rientrata in patria, viene presa in carico dalla Caritas Slovacca, che le offre assistenza e supporto, con focus specifico per le vittime di tratta di esseri umani. Tuttavia, dopo qualche tempo, la donna viene esclusa dal programma in seguito ad un'accusa mossa contro l'individuo Y per favoreggiamento della prostituzione (anziché di tratta).

In aggiunta a ciò, la Caritas fornisce una dichiarazione della ricorrente riguardo alla sua esperienza nel Regno Unito, nella quale vengono descritti dettagliatamente gli abusi psicologici, fisici e la condizione di vulnerabilità e debolezza che ha caratterizzato la sua vita. Proprio sulla base di tale dichiarazione, la donna era stata identificata dalle autorità come vittima di tratta di esseri umani.

 

Da questo momento, il caso inizia ad andare incontro ad un lungo e difficoltoso percorso legale. Le autorità slovacche, infatti, trattano la situazione come un caso di favoreggiamento della prostituzione, e i procedimenti giuridici e indagativi non includono in alcun modo elementi tali da giustificare la qualificazione del reato come traffico di esseri umani.

 

A seguito di vari ricorsi, la signora B.B. presenta istanze anche davanti alla Corte costituzionaleslovacca, lamentando violazioni dei suoi diritti fondamentali, tra cui l’erronea qualificazione del caso e la violazione del diritto a un processo equo, sulla base delle sue obiettive difficoltà cognitive. Tuttavia, la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la sua richiesta, sostenendo che il caso fosse stato trattato correttamente dalle autorità giurisdizionali slovacche.

 

Essendo chiara l’impossibilità di ottenere una risoluzione favorevole in patria, la ricorrente si è vista costretta a rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per chiedere il riconoscimento e la protezione dei suoi diritti.

 

Il ricorso individuale

Ai sensi dell’articolo 34 della CEDU, la signora B.B. porta il suo caso direttamente di fronte alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

L’articolo 34 della Convenzione sancisce l’ammissibilità del ricorso individuale affermando che “la Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.

 

Nel ricercare tutela a livello internazionale tramite la CEDU, la donna compie un ultimo e disperato sforzo per ottenere la tutela e la garanzia dei propri diritti, speranzosa di poter, una volta per tutte, avere giustizia a fronte dell’esperienza traumatica affrontata da sola.

 

La violazione della CEDU

Alla luce degli elementi emersi, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dichiara che, nonostante il fondato sospetto del reato di tratta di esseri umani, le autorità slovacche hanno consapevolmente e volontariamente omesso lo svolgimento di indagini adeguate e approfondite sul caso, limitandosi a qualificare i fatti come sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

 

Inoltre, secondo quanto riferito dalla ricorrente, le autorità inquirenti hanno deliberatamente deciso di non prendere in considerazione la precedente identificazione della donna come vittima di tratta. Quest’ultima ipotesi era stata supportata anche dalle autorità britanniche.

 

La Corte ha sottolineato che diversi fattori avrebbero dovuto destare sospetti riguardo alle reali condizioni della querelante e, di conseguenza, avrebbero giustificato l'avvio di un'indagine più approfondita e accurata nei suoi confronti.

 

Sulla base di ciò, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato la violazione dell'articolo 4 della Convenzione sotto il profilo procedurale da parte delle autorità slovacche.

L'articolo 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo stabilisce infatti il divieto della schiavitù e del lavoro forzato, affermando che “nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o servitù” e che “nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio”.

Pertanto, la Slovacchia avrebbe dovuto rispettare l'obbligo procedurale derivante dall'articolo 4 della Convenzione di condurre un'analisi approfondita, obiettiva ed efficace in relazione alla possibile commissione del reato di tratta di esseri umani.

In conclusione, la Slovacchia è stata dichiarata colpevole della violazione dei diritti umani della sua cittadina, ricorrente per quanto sopra esposto.

 

Conseguenze

A seguito della sentenza della Corte, alla ricorrente è stato riconosciuto un risarcimento di euro 26.000 per danni non patrimoniali e di euro 15.000 per le spese legali, che la Slovacchia sarà tenutaa pagare entro 3 mesi dalla data in cui la sentenza diventerà definitiva.

 

Alla luce di ciò è opportuno soffermarsi su una caratteristica tipica delle sentenze della CEDU.

I risarcimenti garantiti alle vittime, come nel caso in questione, risultano spesso essere quantitativamente ridotti ed esegui se messi in relazione alla gravità delle violazioni dei diritti umani da cui scaturiscono; tuttavia, diverse sono le motivazioni alla base di tale aspetto.

Innanzitutto, i risarcimenti economici non rappresentano l’obiettivo principale della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, al contrario, individua come scopo principale dei propri interventi l’accertamento delle violazioni dei diritti garantiti dalla Convenzione e l’incoraggiamento degli Stati nell’introduzione di rimedi opportuni ed efficaci.

In secondo luogo, i risarcimenti assegnati sono di natura “equitativa”, ossia finalizzati a garantire una compensazione ragionevole, a seconda delle circostanze, ma non finalizzata al risarcimento completo del danno subito; inoltre, spesso dipendono anche dal contesto economico proprio degli Stati coinvolti.

Infine, la condanna stessa ha un peso più rilevante rispetto al risarcimento economico, avendo un effetto simbolico più che materiale: la condanna di un Paese da parte di un organo internazionale quale la CEDU ha di per sé un valore immenso sia per le vittime sia sul piano internazionale; ogni sentenza assume il carattere di precedente per tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, diventando un fattore chiave per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e l’evoluzione di una “cultura dei diritti”.

 

 

BIBLIOGRAFIA

댓글


bottom of page