Articolo a cura di Giulia Castelluzzo e Francesca Russo
Revisione a cura di Riccardo Moggio
Introduzione
Nel sistema giudiziario italiano, magistrati giudicanti e inquirenti fanno parte del medesimo ordine, accedendo alla magistratura mediante un unico concorso pubblico. La questione della separazione delle carriere è un tema che da decenni attraversa il dibattito pubblico ed è attualmente oggetto di una proposta di riforma costituzionale in attesa di essere esaminata dalle Camere, che prevede l’eliminazione della possibilità di passare da magistratura requirente a giudicante e viceversa. Una proposta di separazione delle carriere era già stata valutata dalla Costituente del ‘46 e, nel quadro politico italiano, continua ad essere un leitmotiv.
Il sistema attuale: la figura del magistrato in Italia
La magistratura ordinaria, si compone di circa 6.800 magistrati giudicanti e 2.250 magistrati inquirenti. La magistratura giudicante esercita la funzione giurisdizionale, che prevede l’applicazione della legge in merito a una controversia o un conflitto su impulso delle parti, determinando la passività del giudice che viene chiamato a intervenire come soggetto terzo e imparziale. Diversamente, la magistratura requirente non giudica una controversia ma persegue l’interesse generale della giustizia, stimolando i procedimenti giudiziari e rappresentando la pubblica accusa come parte del processo, di conseguenza non presenta le caratteristiche dipassività e terzietà del giudice giudicante. Inoltre, i magistrati giudicanti operano sia nella giurisdizione civile (di controversia tra due privati) che in quella penale (controversie tra pubblica accusa e imputato). Dall’altra parte il pubblico ministero tipicamente si occupa della materia penale e interviene in ambito civili in casi limitati.
Attualmente il nostro ordinamento prevede per i magistrati la possibilità, nel corso della loro carriera, di passare dallo svolgere funzioni requirenti a funzioni giudicanti e viceversa. Tale disciplina nel corso degli anni è stata oggetto di diversi interventi legislativi, in ultimo la riforma Cartabia, che ha introdotto ulteriori limitazioni al passaggio di carriera. In particolare, l’interessatopuò farne richiesta una sola volta nel corso dei primi nove anni di carriera e la valutazione inmerito spetta al Consiglio Superiore della Magistratura, che decide sulla base dell’anzianità diservizio e degli esiti di valutazioni di professionalità periodiche. La separazione delle carriere mira a rafforzare i principi di indipendenza e terzietà sanciti dall’art. 111 della nostra Costituzione, come presupposti essenziali del giusto processo.
Infatti, l’appartenenza di giudici giudicanti e requirenti a uno stesso organo viene vista come una condizione che determina un occhio benevolo e una vicinanza nei confronti di una delle parti del processo da parte dei magistrati che esercitano la funzione giudicante, minando la loro imparzialità nel decidere sul caso concreto. Nel divieto di effettuare il passaggio di carriera e nella netta divisione tra le due funzioni della magistratura ordinaria, giudicante da un lato e requirente dall’altro, viene visto il superamento di tale impasse.
La separazione delle carriere: origini e motivazioni
Il disegno di legge costituzionale proposto dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal
Ministro della Giustizia Carlo Nordio parte da un’idea già presente all’interno dell’assemblea
costituente e che, progressivamente, ha assunto maggiore rilevanza.
L’idea della separazione delle carriere appare per la prima volta nello scenario politico italiano nel programma elettorale di Forza Italia, nelle elezioni del 1994 che vedono la vittoria del suo leader, Silvio Berlusconi. Dal 2013 la questione è stata riproposta più volte, invero sono stati presentati alle camere ben quattordici disegni di legge e nel 2022 è stato indetto un referendum abrogativo delle norme che disciplinano il passaggio di carriera, che, tuttavia, non ha raggiunto il quorum strutturale.
Di recente, è stata discussa la possibilità che la riforma costituzionale in esame prenda il nome di “riforma Falcone” sulla base di alcuni interventi di Giovanni Falcone, magistrato antimafia, relativamente alla riforma Vassalli e al nuovo codice di procedura penale:
“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e
coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli
rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità,
preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere
nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-
giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri.Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo”.
Tuttavia, tale proposta è stata oggetto di numerose critiche, considerata una strumentalizzazione di una figura rilevante per ottenere consenso. Tra coloro che si sono espressi sull’argomento spicca l’intervento di Pietro Grasso, ex giudice istruttore del maxiprocesso alla mafia, secondo cui Falcone non era tanto a favore della separazione delle carriere quanto piuttosto a favore di una maggiore specializzazione del pubblico ministero, a seguito del passaggio da processo inquisitorio ad accusatorio alla fine degli anni ’80.
Contenuto del disegno di legge
La riforma costituzionale attualmente in esame da parte del Parlamento risulta essere il presupposto necessario affinché ci possa essere in un secondo momento l’emanazione di una legge ordinaria che introduca la separazione delle carriere. Invero, già Carlo Azeglio Ciampi nel 2004, al tempo Presidente della Repubblica, di fronte al disegno di legge presentato dalle Camere che mirava a limitare il potere decisionale del CSM in merito alle carriere dei giudici, decise di rinviare la legge alle Camere, sostenendo che non fosse sufficiente una legge ordinaria per modificare la normativa vigente.
L’attuale riforma, proposta dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio, prevede la modifica degli artt. 87, 102, 104, 105, 106, 107, 110 Cost. I punti salienti sono l’introduzione dell’Alta Corte Disciplinare, nuovo organo disciplinare, e la divisione in due organi distinti del Consiglio Superiore della Magistratura, al fine di operare una ridistribuzione delle competenze tra gli organi. L’Alta Corte Disciplinare, in base all’attuale disegno di legge, è composta da quindici giudici per i quali è previsto un mandato di quattro anni non rinnovabile, caratterizzati da legittimazioni differenti. Invero, nove membri sono magistrati, sei giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie che abbiano almeno venti anni di esercizio delle funzioni. I restanti sei vengono nominati, per metà, dal Presidente della Repubblica, tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e, per metà, dal Parlamento in seduta comune, sulla base di un’estrazione a sorte tra una lista di soggetti individuati mediante l’applicazione degli stessi criteri: tra i componenti di nomina presidenziale e parlamentare viene, in seguito, eletto il presidente, votato da tutti i membri dell’organo.
La previsione della ridistribuzione delle competenze del CSM implica la necessità di
assegnare a un nuovo organo, quale l’Alta Corte Disciplinare, i procedimenti disciplinari che, in base al vigente art. 105 Cost. spettano al CSM, quale unico organo di governo autonomo della magistratura. Il nuovo articolo 105 prevede la possibilità di impugnazione delle sentenze di primo grado emesse dall’Alta Corte soltanto dinanzi alla stessa in una composizione che esclude i membri che hanno concorso alla decisione impugnata.
Per quanto concerne la struttura del CSM è previsto da una parte un Consiglio Superiore
della Magistratura giudicante e dall’altra un Consiglio Superiore della Magistratura requirente. Entrambi gli organi sono presieduti dal Presidente della Repubblica e hanno, come membri di diritto, rispettivamente il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione. La composizione interna dei due organi è analoga a quella dell’attuale CSM. Nella restante composizione dei due CSM, tuttavia, viene modificata la modalità di nomina, dal momento che non vi è più un’elezione dei due terzi dei membri dalla magistratura ordinaria indistinta, ma, rispettando i criteri e le proporzioni previsti dalla costituzione, attuando una distinzione tragiudicanti e requirenti. Inoltre, verranno assegnate ai due consigli funzioni di valutazione diprofessionalità e conferimento di funzioni nei riguardi di magistrati.
Argomentazioni riguardo la separazione delle carriere
Alla base degli argomenti di coloro che sostengono la necessità della separazione delle carriere v’è la tutela del principio di indipendenza della magistratura e la garanzia del giusto processo. Tali posizioni sottolineano la necessità di un giudice terzo e imparziale tanto rispetto all’accusa quanto rispetto alla difesa.
I sostenitori della separazione delle carriere ritengono che la riforma non incida sull’autonomia e l’indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo. Ciò che si ritiene importante è che, a partire dalla selezione e per tutta la carriera, sino alla conclusione, i magistrati non debbano essere sottoposti all’azione di controllo e di verifica del potere esecutivo e, quindi, l’istituzione di due organi di autogoverno, uno costituito da magistrati requirenti e l’altro da magistrati giudicanti, sia un meccanismo idoneo a garantire il principio costituzionale della separazione dei poteri.
Inoltre, a rendere effettivamente autonomo il potere giudiziario soccorrono i principi
dell’obbligatorietà dell’azione penale e del giudice naturale: il primo obbliga il magistrato inquirente ad indagare ogni volta che acquisisce una notizia di reato; il secondo comporta che al verificarsi di una determinata fattispecie di reato sia già prestabilito per legge, in base a specifici criteri precostituiti di organizzazione degli uffici, il magistrato competente a svolgere l’indagine e, successivamente, il magistrato competente a decidere la causa.
Questa riforma, tuttavia, viene percepita da una maggioranza della magistratura come un
tentativo di rafforzamente del legame che intercorre tra il pubblico ministero e l'organo esecutivo (in particolare con la figura del Ministro della Giustizia), andando contro dunque al modello di Stato di diritto e di divisione dei poteri. L'avviamento di questo fenomeno viene tipicamente associato al decreto legislativo del 2006 e all'introduzione della gerarchizzazione delle Procure, e nella separazione delle carriere viene visto il suo sviluppo, verso un progressivo abbandono del modello costituzionale.
La rilevanza del Ministro della Giustizia nell'attuale sistema giurisdizionale si osserva già nella possibilità per quest'ultimo di esprimere il concerto sulla nomina dei capi degli uffici giudiziari da parte del CSM, e l'espansione dei suoi poteri nella nomina politica del CSM è
ad oggi in esame.
La definitiva e netta divisione del pubblico ministero risulterebbe dunque non
volto a tutelare un giusto processo, ex art 111 Cost., assicurante autonomia e indipendenza della magistratura ma al contrario parrebbe essere la base di un accentramento di alcune funzioni all'Esecutivo. Inoltre, i fautori dello status quo evidenziano che già il nostro ordinamento prevede una pluralità di istituti che garantiscono sin dalla fase delle indagini l'effettiva “parità delle armi” tra accusa e difesa e sottolineano come la possibilità dei magistrati di passare da funzioni inquirenti a quelle giudicanti costituisca un arricchimento della professionalità degli “attori” del processo, indispensabile soprattutto per la figura del P.M. che, sebbene parte, rappresenta un interesse generale distinto da quello particolare dell’imputato.
Conclusioni
Il 26 novembre di quest’anno il disegno di legge costituzionale arriverà in Aula. Data la natura costituzionale della riforma sarà necessario un iter aggravato che prevede due delibere a maggioranza assoluta di ciascuna delle due camere sullo stesso testo di legge con un intervallo di almeno tre mesi tra di esse. Qualora la riforma entrasse in vigore, in relazione alla sua conformazione definitiva, a seguito dell’eventuale e altamente probabile apposizione di emendamenti da parte delle Camere, rimarrebbe una questione aperta se la sua attuazione si concretizzerà in una maggiore indipendenza delle magistrature o in una politicizzazione del pubblico ministero da parte dell’Esecutivo.
BIBLIOGRAFIA:
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